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Ritratti: La mia intervista a Ruggiero Rizzitelli

Siamo in compagnia di Ruggiero Rizzitelli, che è stato attaccante della Roma dal 1988 al 1994. Dai tifosi soprannominato Rizzi-gol ed entrato nel cuore della tifoseria come del sottoscritto.

Ruggiero,
la rubrica che scrivo sul sito Noi e la Roma, rivolto ai tifosi, si intitola “Ritratti”.
“Ritratti” perché voglio che l’intervistato faccia dei ritratti sul personaggio o sulla situazione di cui si tratta.
Noi e la Roma parla esclusivamente di Roma.
Perfetto, con me vai tranquillo.
La prima domanda che ti volevo fare, da tifoso e da appassionato che ti ha visto giocare, è questa. Il tuo passaggio alla Roma avvenne nella stagione 1988-1989, quando in panchina si alternarono Nils Lieldholm come Direttore Tecnico e Angelo Benedicto Sormani che si alternò con Luciano Spinosi, che impressione ti fece passare alla Roma dal Cesena, da cui provenivi?
Ma sai, è il sogno di ogni bambino che si avvera, che oltre che giocare in serie A, vuol passare ad un grande club. Quindi è normale che io non me lo aspettavo così, perché venendo da Cesena, quando sono arrivato lì, mi ricordo la presentazione, un po’ mi sono spaventato, perché sai a Cesena c’erano due giornalisti e basta. Invece alla presentazione a Roma … capisci … in una sala, dove c’erano cinquanta / sessanta persone tra giornalisti e telecamere, un po’ mi ha spaventato … ecco … E mi ricordo a fine presentazione il presidente Viola mi vide un po’ turbato, impaurito, ed allora mi prese sottobraccio e mi disse “Ruggiero, questo fa parte del calcio e qui sei a Roma ed è normale che sia così. Sei un ragazzo giovane, non sei abituato, però ricordati che qui ci sono io” Ed a quel punto lì … se c’è il presidente che mi coccola sono a posto e quindi mi ha dato quel coraggio giusto per cominciare l’avventura a Roma.

Ecco, visto che hai parlato di Dino Viola, mi fai un ritratto di Dino Viola?
Mah … Dino Viola … adesso è difficile dirlo, perché per chi ha vissuto quegli anni era il classico presidente-padre, perché prima era così, ma non lo dico per dire. Io ho avuto a Cesena, dove abito adesso, Lucaresi un altro presidente-padre, insomma, non sono i classici imprenditori, come funziona adesso. Adesso il calcio è cambiato, bisogna ammettere che è così. Prima il presidente era veramente la famiglia, perché loro vivevano di quello, capito? Stavano nel calcio 24 ore su 24, frequentavano lo spogliatoio, erano nel centro sportivo, quindi erano sempre con noi e quindi era un presidente straordinario. Mi ricordo, addirittura, che chiedeva, se stessi poco bene, se avessi preso le medicine, come stavi…
Come un padre!
Sì, sì, il classico padre, che si curava dei propri bambini, ecco. Oltre quello, era quello che a Trigoria veniva e se ci fosse stata una luce accesa, la spegneva, se c’era la pianta che disturbava l’albero chiamava il giardiniere, guarda qui c’è da tagliare questa pianta, capito… è il classico papà che controlla la famiglia, controlla le sue cose, erano così i primi presidenti, Viola su tutti.

 

Passo ad un’altra domanda, sempre di quegli anni, perchè tu lo trovasti praticamente in squadra, mi fai un ritratto di Rudi Voeller?
Beh il tedesco! In Rudi ho trovato il campione, non solo in campo, perché sul campo lo giudicate voi, i tifosi, perché è scontato che io dica che era bravo, perché giocava con me. Il campione che abbiamo visto, che ha dimostrato essere sul campo, io l’ho vissuto anche fuori dal campo, quindi con l’amicizia, quando si parla di campioni è proprio quello, il campione non è solo sul campo ma è anche fuori dal campo. E ti dico questo perché io ero un ragazzo, che insomma si faceva in quattro per lui, correvo tantissimo per lui, e la dimostrazione di Rudi è che un giorno mi ricordo che io ero stremato, c’avevo veramente i crampi al cervello, e mi vide così stremato, che mi si avvicinò e mi disse “Ruggiero, adesso corro io per te, tu vai a riposarti davanti” e quindi mi ha ceduto il posto da attaccante.
Ti ha passato il testimone …
Si, sì, mi ha detto adesso corro per te, riposati perché sei stremato. Mi ricordo quella scena, che lì per lì, sono andato davanti a “riposarmi”, a far la prima punta, mentre lui correva, faceva l’esterno al posto mio. Quel gesto lì mi ha ricaricato le pile! Basta un niente per ricaricare le pile, io dopo cinque minuti dissi “Rudi, sono già a posto, sono già carico” E quindi ritornò alla sua posizione. Quindi, vedi, basta un niente a volte un gesto qualunque per dare una vivacità ad un ragazzo che in quel momento era stremato.

La domanda successiva ce l’ho proprio nel cuore perché è un anno che ho vissuto in modo particolare, insomma mi siete stati molto vicini. Si tratta dell’anno del Flaminio
Che bell’anno, sì, sì, è vero.
Facendo proprio un ritratto, tu che cosa fotograferesti di quell’anno?
L’unione che si era creata, il tutt’uno, io ho sempre detto che quell’anno c’è stato il tutt’uno, perché partiamo dal fatto che Radice non doveva venire, perché avevano preso Bianchi, ti ricordi?
Sì, sì, mi ricordo perfettamente
Bianchi era allenatore, però non è stato liberato dal Napoli e quindi hanno preso “come seconda scelta” Gigi Radice. E quindi che cosa è successo? È successo che quell’anno sì è unito tutto: l’allenatore che era “la seconda scelta”, il Flaminio …. E quindi cosa è successo? È successo che dovevamo fare qualcosa per far innamorare e trascinare i tifosi dalla nostra parte, è successo proprio quello: noi, l’allenatore ed i tifosi siamo diventati un corpo unico … tutti per uno ed uno per tutti! E questo credo che sia stato lo slogan per tutto quell’anno.

Si è stato veramente questo. Ed invece con Ottavio Bianchi cosa successe?
Mah, Ottavio, anche se è il classico allenatore furbo, alla fine è vero, taciturno, non dava confidenza a nessuno, però era il classico allenatore che appena arrivato ha detto noi dobbiamo vincere, sono venuto qui per vincere, a me non interessa il bel gioco, tacchi e punta, io li odio, voglio far risultato … e devo dire che poi alla fine era stato preso per quello scopo Bianchi, perché veniva da un campionato vinto a Napoli e quindi trofei, perciò è normale che la gente si aspettasse da lui cose importanti. Noi siamo arrivati con due finali, se ti ricordi?
Sì, mi ricordo
Finale di Coppa UEFA e di Coppa Italia. Il suo motto era quello. Non si guarda in faccia a nessuno, io voglio il risultato. Ed alla fine devo dire che è stato così, abbiamo fatto un torneo di coppa UEFA straordinario e vincemmo addirittura la Coppa Italia. Devo dire che l’allenatore sapeva il fatto suo insomma, è un vincente.
Cosa ha prevalso la gioia della vittoria della Coppa Italia o l’amarezza della sconfitta con l’Inter in Coppa UEFA?
Personalmente l’amarezza della coppa UEFA.
Anche se tu segnasti quel gol nella gara di ritorno …
Al di là del gol, noi, veramente, in quel campionato avremmo meritato quella Coppa, avevamo fatto un torneo straordinario, non avevamo mai perso, e l’unica partita che perdemmo fu proprio quella contro l’Inter a San Siro … quel rigore che hanno concesso all’Inter … forse l’unico errore di quell’anno è stata l’inesperienza, perché noi dopo il rigore subito a Milano contro l’Inter abbiamo protestato, non abbiamo più giocato.
Sì, mi ricordo
Forse quello è stato il nostro errore gravissimo, perché purtroppo l’esperienza ci è venuta a mancare lì. Noi invece di continuare a giocare, pensare che potevamo rimediare il gol, invece abbiamo iniziato a protestare, così ci hanno fatto il secondo gol, anche se poi al ritorno li abbiamo veramente surclassati, dall’inizio alla fine. Poi io, dopo due minuti, ho preso il palo. E se riesco a far gol lì, pronti via, due minuti capisci? che la partita sarebbe stata completamente diversa? La cosa più bella secondo me è stato il fischio finale. L’amarezza nostra di non aver alzato quella Coppa, anche perché quell’anno era venuto a mancare Dino Viola, quindi quella coppa era per lui, soprattutto. Quindi l’amarezza è stata soprattutto quella di non regalare a Donna Flora quella Coppa per ricordare suo marito, e noi per ricordare il nostro presidente, e l’amarezza fu proprio quella.
Cosa successe però, a fine partita, la gente ci ha applaudito in settantamila, come se quella coppa l’avessimo vinta. E credo che sia quella la cosa più bella. Si, il trofeo per la collezione, per la bacheca è importante, ma anche l’applauso finale della gente è stato come se avessimo vinto quella coppa. È stato devastante, bellissimo.

Ecco a proposito proprio di questo, ‘cadi proprio a cecio’. Che cosa è la Curva Sud dovendola descrivere a una persona che viene da Honolulu?
(ah ah ah… ride). Sai cos’è? non si può descrivere fino a quando non la vivi. Perché a me l’avevano descritta in tante maniere. Perché io, sono cresciuto calcisticamente a Cesena, ma in camera con me avevo un certo Nippo Nappi. Te lo ricordi Nappi?
Certo si me lo ricordo, si si.
C’era lui e Bonaiuti, due romanisti sfegatati. E quindi già mi dicevano La Roma, la Curva, ed io all’inizio dicevo ma questi che dicono ma che significa… (e ride). Ne parlavano come se fosse una cosa incredibile. Un conto è dirlo ed un conto è viverla, perché io al primo gol che ho fatto in casa contro il Lecce. Il primo gol giallorosso, iniziai a correre sotto la Curva Sud, e mentre correvo sotto la Curva Sud, mi immaginavo il sogno di Nappi. Il sogno di Nappi era fare un gol sotto la Curva Sud. Il suo sogno era quello. Quando ho fatto gol, il mio primo pensiero è stato Nippo Nappi, che mi aveva raccontato per anni e anni il suo sogno ed in quel momento c’ero io. Quindi lì veramente percepisci che cosa è la Curva Sud. Perché poi a raccontarlo, uno lo può raccontare, ma fino a quando non la vivi quella sensazione non è descrivibile, francamente.


Ecco un’altra sensazione, un altro ritratto che ti voglio estrapolare è questo: L’anno di Boskov 1992-1993 si aggrega alla squadra un ragazzo giovane proveniente dalla Primavera, che si chiama Francesco Totti.
Un ragazzino da niente (ridendo). Guarda io mi ricordo quella scena di Brescia, quando lui fa l’esordio al mio posto. Vincevamo due a zero e mancavano pochi minuti e quindi passando dalla panchina, Boskov mi dice “dai Ruggiero facciamo entrare il ragazzino”, e gli risposi “Mister mancano tre o quattro minuti non c’è problema”. Poi abbiamo capito che razza di ragazzino è venuto fuori. Insomma… questo ragazzino che in allenamento faceva cose importanti.
Ti dico francamente, che in quegli anni lì, perché io non ero vecchio calcisticamente, ero ancora un ragazzo, però quando venivano i ragazzi a giocare contro la prima squadra, era normale che i “vecchietti” il giovedì non volevano correre, non gli dovevi rompere le scatole. Appena vedevano un ragazzino che correva troppo, che faceva troppi dribbling… si arrabbiavano e gli menavano.
(ridiamo entrambi) …. Gli facevano capire di non rompere. In quell’anno ce ne erano tre quattro bravi. Però quello che non aveva timore e paura, anche dopo aver preso delle scarpate, ma dopo si rialzava e la palla dopo ti faceva il tunnel o il dribbling era Francesco Totti, ecco. Li capivi che oltre alle qualità che aveva, c’era anche il carattere. Dopo, fare tanti anni a Roma, da Capitano, lo sai meglio di me…O hai le ‘palle’ come dico io oppure non puoi giocare a Roma tanti anni e portare la croce sulle spalle sempre… sai non è facile. Sai lui, la cosa forte che aveva era proprio quello. Oltre alla bravura che poi abbiamo visto. Ti dico proprio il carattere. Non aveva paura dei “vecchietti” che gli menavano lo insultavano. Però, a lui entrava da una parte e gli usciva dall’altra. Questo credo che sia stata la sua forza.
Senti Ruggiero, invece adesso autovalutazione. Cioè, ti fai un ritratto da solo. Segni in sei stagioni 29 reti, che per molti tifosi (le nuove generazioni) sono pochi, ma per un tifoso come me, che ha vissuto quegli anni, sono memorabili. Come valuti tu la tua avventura alla Roma?
No, io sono d’accordo che i gol son pochi. Questo è poco ma sicuro.
Perché io mi ricordo che l’anno successivo al Torino segnasti molte reti.
E sì, ma infatti. E ti dico il motivo. Il motivo è che io non ero una prima punta. All’epoca mi descrivevano come l’attaccante moderno. Quello che adesso tutti cercano…io lo facevo tanti anni fa… (ridiamo entrambi)
Dovevi giocare in questi anni, sei nato troppo presto.
Infatti, tutti mi volevano, perché ero considerato l’attaccante moderno. A me non si doveva chiedere il sacrificio, io lo facevo naturalmente. E ti racconto un aneddoto.
Quando sono andato al Torino, dove ho fatto 19 gol quell’anno, giocavo da prima punta, io a metà campionato sono andato da Sonetti, e le dissi “Mister, io non mi diverto” e lui rispose “Ma che cavolo stai dicendo? Meglio di così? Fai due gol a partita e non ti diverti?” e dissi “no, perché e non lo so il perché, ma quando esco dal campo non sono felice”. Non avevo la gioia. Ma la dimostrazione sai quale è? Che io mi divertivo, mi dava gioia fare un recupero, di un mio amico che aveva perso la palla, il sacrificio, il sudore. Quando vedevo il difensore che perdeva palla, io recuperavo per lui, e vedere il sorriso nel mio amico, con lo sguardo compiaciuto e sentirsi dire grazie. A me dava più soddisfazione quello rispetto ad un gol. Quindi, quando glielo ho detto mi ha preso per pazzo. Perché di solito è il contrario. Gli attaccanti vivono per il gol, io no, non vivevo di quello. La mia gioia più grande era vedere il mio compagno quando gli recuperavo una palla persa, gli aiutavo in un raddoppio. Forse è stato quello il mio “errore”. Però se la gente mi ricorda ancora.
Se la gente ancora ti ama…. Vuol, dire che va bene.
E si, vuol dire che quello che ho fatto è molto più importante dei gol realizzati.
Ruggiero, l’avventura dopo Torino è stata al Bayern Monaco. Ci puoi descrivere il Bayern Monaco, che tipo di società è? l’ambiente di Monaco. Perché spesso sono stato a Monaco, ho visto anche le partite a Monaco. Che cosa è il calcio a Monaco di Baviera, in Germania la Bundesliga?
È il calcio che dovremo vivere tutti, come mentalità. Lì il calcio non è stress. Il calcio è gioia. E io devo dire che quando sono arrivato lì ho goduto. Mi son detto mamma mia che spettacolo!
È tutto veramente tranquillità, gioia, si gioca la domenica e resta tutto lì sul campo. Però successe, che dopo un mese, un mese e mezzo, mi veniva a mancare lo stress quotidiano. L’adrenalina.
Certo quello di cui vive il calcio italiano …
Noi abituati a quel ritmo in Italia, infatti con Trapattoni, ad un certo punto ci dicevamo, sul pullman prima di un derby, che sembrava una partita tra scapoli e ammogliati, tra amici, e io le dissi “Mister, ma porca miseria, ma qui io non sento niente, in Italia, specialmente al derby, non dormivo per 15 giorni. Nervoso, la notte facevo le rovesciate nel letto, che mia moglie mi dava le sgomitate che mi cacciava dal letto. Mi sembra veramente troppo tranquillo.” Il Trap rispose “è vero, purtroppo la loro mentalità è questa. Quindi o adesso ti carichi da solo oppure fai delle pessime figure.” Ma la verità è questa, abituati come eravamo noi, andando lì sembrava di essere in un altro mondo. Forse è la cosa migliore perché si gioca un calcio totalmente diverso, è tutto più rilassato, non arrivi stremato di nervoso. Perché il nostro problema, quello del calcio italiano, è la stanchezza mentale, soprattutto. In quanto arrivi talmente carico, durante la settimana, che la domenica sei scarico. La tensione, il nervoso. Mentre lì, il bello era proprio quello, francamente. Lì c’è quella mentalità. Dopo ho trovato una grandissima società, che ai quei tempi veramente il Bayern era al top, anzi non avanti, di più. Anche nel modo di gestire qualunque cosa. Lì ho capito che cosa significa l’organizzazione, tutto quello che forse dopo venti anni sta arrivando in Italia. Soltanto che loro sono venti anni avanti.
Ruggiero adesso tu fai l’opinionista, ma ti piace questo ruolo? vorresti lavorare sul campo? Allenare? Fare il dirigente? Lavorare con i ragazzi?
No per il momento, non ho chiesto di entrare nel settore giovanile. Anche se ho sempre pensato di fare il settore giovanile. Però, alcune volte che ho parlato, non ti dico né dove, né quando, ho rifiutato subito, perché purtroppo in questo momento si deve scendere a compromessi. E io sono vecchia maniera, O faccio io o me ne vado e non accetto.
Ho sentito lo stesso discorso da un’altra persona che è Francesco Rocca.
E lo vedi! Noi siamo di un’altra pasta. Quando mi proponevano alcune cose, lo sponsor, quello è figlio di quello e quello di quell’altro. Io la faccia non ce la metto. Arrivederci e grazie, è stato un piacere.
Quindi è così insomma. Se le cose sono queste e stanno così, non ce la faccio. Piuttosto rifiuto ma non lo accetto.
Poi grazie a Dio, a Roma, quando mi hanno chiamato, ho detto: ragazzi io vengo, sono felice perché mi riprendete a casa. Perché quella è casa mia. E ho detto mi fate un grandissimo regalo. Però non mi impedite di dire quello che penso. E devo dire che in questi cinque anni nessuno si è permesso di obiettare.
Giusto, e lo hai fatto.

Ruggiero, cosa ne pensi di Fonseca? Sia come allenatore che come uomo e professionista.
Devo dire che ha avuto tantissime difficoltà. Bisogna ammetterlo questo. Qualche sbaglio lo ha commesso anche lui perché ci sta. È un allenatore che è stato costretto a cambiare, ha avuto tantissimi problemi. Ha capito anche adesso il campionato italiano. Perché sta capendo piano piano che è totalmente diverso dagli altri campionati. Perché il campionato italiano, non c’è niente da fare, tatticamente è il numero uno al mondo. La pressione è quella che è, a Roma. È una piazza difficilissima. Quindi gli alibi li ha tutti. Però è normale che anche lui deve crescere e capire che molte volte alcune decisioni vanno prese nel bene e nel male. Che ti chiami Francesco Totti o ti chiami pinco pallino, per come la penso io, alcune decisioni vanno fatte e vanno prese.
Volevo sapere da te, un’impressione su uno dei tecnici che si è succeduto nella gestione Pallotta, che non ha avuto il giusto tempo o il giusto spazio per potersi esprimersi al meglio. Dare quello che avrebbe potuto dare a questa società e a questa squadra.
Ma secondo me, tutti quegli che sono passati qualcosa hanno lasciato. Però quello che dici tu, che non ha lasciato quasi niente e che avrebbe potuto dare molto di più è stato Luis Enrique.
Perché alla fine, se noi guardiamo gli altri, un po’ tutti hanno lasciato qualcosa. Di Francesco è arrivato addirittura in semifinale di Champions League, Ranieri ha fatto quello che ha fatto, è arrivato quasi a vincere lo scudetto, in un modo incredibile. Rudi Garcia, anche lui con le 10 vittorie di fila, insomma qualcosa tutti hanno lasciato.
Poi sai, si son persi o meno. Però hanno lasciato qualche cosa alla Roma.
Luis Enrique, non ha fatto, forse, quello che lui avrebbe voluto fare. Perché forse non si è capito con l’ambiente, si è scontrato con la critica, con la stampa, con le radio. Forse perché poi abbiamo visto, l’unica volta che ha avuto la possibilità di allenare una grande squadra, ha fatto il triplete. Quindi vuol dire che l’allenatore c’era. Solamente non gli hanno dato il tempo, non ha avuto nemmeno la fortuna. Perché lo sappiamo tutti, la fortuna dell’allenatore sono i risultati.
Ragazzi parliamoci chiaramente. Lui non ha avuto la fortuna di fare subito risultato, quindi non è stato subito capito. Qualche critica un po’ di troppo. Lui si è lasciato un po’ andare, molte volte allo sfogo che ha fatto. Uno sfogo forte, pesante, che poi abbiam capito non aveva tutti i torti. Perché dopo le parole vengono sempre fuori.
Ruggiero, l’ultima domanda. Ti volevo chiedere, cosa manca adesso alla Roma per dire che è completa? Che può competere per l’Europa League, o il posto in Champions League. Che cosa gli manca ancora, oltre ai calciatori con il mercato aperto?
Guarda io devo essere schietto su questo argomento. Questa rosa di giocatori è un’ottima rosa. È normale che manchino due o tre elementi. Come il difensore centrale, che lo stanno cercando. Perché uno Smalling è un elemento importante. Avendo una difesa giovane, un calciatore esperto come lui che conosce la piazza e ha fatto bene, diventa un elemento importante, anche per la maturazione di questi ragazzi, che sono giovani. Un vice Dzeko, perché Dzeko non le può far tutte, anche perché ogni tanto, bisogna farlo respirare. Un esterno destro, perché purtroppo abbiamo dei giocatori che si fanno sempre male. Non capisco il motivo. Un esterno basso destro ci vuole, perché abbiamo sempre dei problemi su quella fascia destra. Quindi secondo me con tre / quattro giocatori questa è una ottima squadra. Anche perché ha dei giocatori validi, lo ha dimostrato con la Juve. Però il problema quale è: la loro personalità. Io continuo a dirlo questa è una squadra che purtroppo ha dei mezzi impressionanti. Lo dimostra, quando è in difficoltà, quando viene presa per il collo, dico io. Ma perché deve essere presa per il collo? È tutto lì il discorso. Perché non hanno continuità, non hanno personalità. Secondo me parecchi giocatori devono ormai farlo questo passo ulteriore, perché non si può sempre aspettare. Perché, per l’amor del cielo, è vero che uno può aspettare un giocatore, però vedendo i calciatori che ci sono adesso, oramai hanno tutti tre o quattro campionati di serie A sulle spalle. Quindi a questo punto o hai personalità, altrimenti non puoi giocare a Roma.
Ma te sei fiducioso o no per questo campionato?
Io si, perché vedo una presidenza, in questo momento, che non ha fatto proclami. E mi aspettavo questo. Perché, quando sento presidenti che arrivano dicendo: vinciamo, compriamo, saremo al top del mondo, o d’Europa. Non so, già mi puzza francamente. E vedere questa nuova società, questo presidente con il figlio che non fanno proclami, e zitti zitti stanno facendo tutto quello che noi tutti vogliamo. Vedere dove si può migliorare. Fare quello che devono fare. Comprare i giocatori che devono comprare. Manca ancora qualche giorno, quindi, speriamo che zitti zitti, mettano le mani dove c’è bisogno senza fare proclami. Perché poi la gente la illudi e la deludi allo stesso tempo.
Ti ringrazio tanto e ti lascio ai tuoi impegni lavorativi, Grazie ancora e Forza Roma.
A te, Forza Roma.

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