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Mourinho – Non si fanno prigionieri

Eccoci tornati sulla nostra pagina per rileggere e rielaborare le parole del nuovo allenatore della Roma, Josè Mourinho, presentato ieri in pompa magna dalla società. Prima di addentrarci su ciò che c’è stato, andiamo a fare giusto un appunto su ciò che è mancato: a quasi un anno dall’insediamento ai vertici della società, ancora nessuno ha mai sentito la voce della dirigenza. Quello che potrebbe sembrare un’ennesima occasione sprecata, in realtà è una mossa saggia che li pone ancora una volta un passo avanti a tutti: questo giorno è di Mourinho, anzi dei romanisti di tutto il mondo; la loro assenza in questo caso non fa che sottolineare questo ed evidenziare quanto loro siano disposti a mettere la Roma avanti a tutti, anche a loro stessi.

Terminate le foto di rito, ecco iniziare la conferenza stampa con la non-presentazione del mister, non ne ha certo bisogno, e alcune brevi parole in italiano di Tiago Pinto. Palla che passa quindi a Josè per le sue prime parole ufficiali da tecnico della Roma.

Mou e la Lupa. Due simboli di Roma in un unico scatto.

Nulla viene dal nulla, nulla ritorna dal nulla

Dopo i ringraziamenti di rito per l’accoglienza ricevuta dal popolo giallorosso e quelli alla dirigenza, ecco che Mou mette subito in chiaro quello che sarà il suo filo conduttore in questa esperienza: costruire il futuro. Non è qui per vincere al primo tentativo, ma è qui per gettare le basi per una squadra che abbia successo nel tempo e per farlo avrà bisogno proprio di questo, tutto il quello che riterrà necessario e in cambio promette abnegazione da parte sua e del suo staff e lavoro, tanto lavoro. La città è bellissima, importante nel panorama storico del mondo intero, ma non ha scelto Roma per questo, non è qui a fare il turista (non è qui a perdere tempo), ma per lavorare. Così saluta gli astanti, ricorda che c’è l’allenamento pomeridiano e finge di andarsene. Ha fretta Mou, vuole subito immergersi nella nuova realtà.

Le domande, ma soprattutto le risposte ai giornalisti

Neanche il tempo di mettersi comodi che subito si parte con la pressione dell’ambiente romano che tante vittime ha mietuto nel tempo. Mou, da vero comunicatore, sa che la miglior difesa è l’attacco e parte subito forte con “ho già dovuto cambiare numero di telefono tre volte”. Una semplice battuta dal doppio significato: ha già ben chiaro come sarà l’andazzo durante il suo incarico, ma anche, rivolgendosi ai tifosi che seguono da casa, non vi fidate di ciò che dicono e scrivono riguardo a calciatori eventualmente contattati direttamente dal sottoscritto. Concetto che chiarirà definitivamente qualche domanda più tardi “parlo con la proprietà e con chi lavora con me, non coi giocatori di altre squadre”.

Archiviate le solite domande sul passato (la sua ultima esperienza in Italia è datata 11 anni fa, come si sente rispetto alla prima volta che è venuto ad allenare nel nostro paese) e sulla competitività presunta del nostro campionato (Josè ci tiene a ricordare che la nostra nazionale è in finale agli europei con 23 giocatori su 26 che giocano nella Serie A, quindi la competitività c’è ed è alta), si cerca di entrare nella mente del portoghese con la vecchia tattica della comunicazione romana: la provocazione.

Si tira in ballo, di nuovo, la storia della fascia di capitano e qui Mourinho sfodera l’ascia di guerra e taglia ogni ponte sull’argomento con “sono decisioni che saprà prima la squadra e poi voi, non vi rivelerò cosa accade nello spogliatoio”. Nel pieno rispetto dei ruoli, questa è la mia squadra e voi non avrete nulla se non le vostre invenzioni. Chiaro, no?

Lo sguardo del giocatore di scacchi avanti tre mosse rispetto all’avversario.

Dopo aver rimarcato che è qui per costruire una Roma vincente nel tempo e non per alzare un trofeo subito, l’imperatore venuto da Setubal non risparmia stoccatine neppure alla società. A domanda su Cristante e Spinazzola, col sorriso sulle labbra, si gira verso Tiago Pinto e davanti a tutti chiede ufficialmente un terzino sinistro. Non si fanno prigionieri con Mou, si da sempre il 100% e il bene della squadra viene prima.

L’obiettivo di Josè è molto semplice: vincere la prima partita ufficiale e poi pensare alla seconda. Niente proclami, niente propaganda, solo lavoro, lavoro e lavoro. Tutti devono migliorare e impegnarsi a farlo, perfino le strutture interne al centro di allenamento di Trigoria devono essere migliorate. Non risparmia nulla e nessuno, tutto è stato messo sotto la lente di ingrandimento e ogni ingranaggio dovrà essere funzionale all’accrescimento della Roma, pena la sostituzione senza appello.

Ferita, ma non morta, la comunità della comunicazione romana riparte all’attacco con l’ennesima provocazione, come se la lezione precedente non fosse stata abbastanza chiara. Gli viene chiesto se si senta un allenatore finito, “non più al top” come alcuni lo descrivono e Josè brandisce un altro colpo d’ascia con “negli ultimi tre club ho vinto un campionato, tre trofei e ho preso una squadra dodicesima in classifica e l’ho portata in finale di coppa che non mi hanno fatto giocare. Ciò che per me è un fallimento, altri non lo hanno mai raggiunto in carriera”. Game, Set, Match. Qualcuno chiami il coroner, c’è da rimuovere qualche cadavere.

Finalmente si torna a parlare di calcio e qui il mister tiene a precisare un altro punto importante della sua esperienza con questi colori “non mi piace la Roma di Mourinho, la Roma è dei romanisti, io sono uno in più”. Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma, né i presidenti né i giocatori né l’allenatore. Esiste la Roma, che è dei romanisti, e niente mai sarà al di sopra di essa. Questo è il Mou-pensiero.

Concentrato fino alla fine, attento a ogni dettaglio.

La stupidità è ripetere sempre le stesse cose, aspettandosi un risultato diverso dal precedente.

Anche se agonizzante, morente e umiliata, la comunicazione tenta l’ultimo assalto con la medesima arma rimarcando l’assenza di trofei da tempo immemore e se ciò sarebbe accettabile anche al suo primo anno. Con la pazienza degna di un papa, Josè posa l’ascia e rimarca ancora una volta un concetto all’apparenza semplice, ma a quanto pare incomprensibile per certa gente “voi parlate di titoli, noi parliamo di tempo. Non vogliamo vincere ora e avere problemi dopo, vogliamo essere una realtà stabile e sostenibile. È facile vincere e non aver i soldi per pagare gli stipendi poi.”

Ultima stoccata verso il neo tecnico romanista. Gli si chiede se sarà dispiaciuto di non affrontare Conte sulla panchina dell’Inter e lì Mou chiude per sempre ogni discorso “ci sono allenatori nella storia dei club che non puoi paragonare ad altri. Liedholm e Capello della Roma e me ed Herrera nell’Inter”. Chi vuol capire capisca, per gli altri ormai non c’è più speranza di recupero.

Ultime due domande, ma ormai è rimasto solo il portoghese in piedi sul campo di battaglia e intorno a lui c’è solo desolazione e macerie. Come vede la Roma tra tre anni? “Festeggiando. Festeggiando qualcosa.” Ecco l’arco di tempo che Mourinho e la proprietà si sono dati, tre anni. Sarà un lavoro lungo, faticoso e intenso, ma l’obiettivo è quello di diventare una realtà stabile nel mondo del calcio italiano e non solo e il tempo ritenuto congruo per il conseguimento di questo obiettivo sono i tre anni di contratto firmati dal portoghese.

E ora al lavoro!

Ultima domanda, fatta dal pubblico attraverso i social: se dovesse vincere tra qualche anno ci saranno molti bambini che verranno chiamati Josè, come la fa sentire questo? “Chiamateli Giuseppe”.

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